19/11/16

AA. VV., JORIS IVENS AND CHINA



[China in Dublin: George's Street Arcade 2016. Foto Rb]


AA. VV., Joris Ivens and China. A cura di Film Archives of China e The Editorial Department of New World Press. Beijing, New World Press, 1983


Leggendo questo libro ci si è domandati perché Antonioni, col documentario Chung Kuo: Cina, subì critiche tanto dure da parte della critica ufficiale cinese dei primi anni Settanta, mentre Ivens ebbe in sorte un trattamento di piena accettazione, dato che entrambi accentuano l’effetto di realtà quotidiana nel riprendere le attività umane e non solo le glorie del socialismo.

Ivens lo teorizza  quando si oppone ai documentari divenuti stereotipati proprio perché seguono uno schema troppo prefissato, scrivendo tra l’altro che “documentary films must be true, and certainly not boring or sterotyped” (p. 110).  

Il vantaggio di Ivens rispetto ad Antonioni fu probabilmente la simpatia aperta verso la rivoluzione fin dagli anni Trenta e il rapporto di fiducia costruito nel tempo coi dirigenti cinesi.

Già negli appunti diaristici del 1938 (pp. 32-72), relativi a 400 Millions, uscito nel  1939, il regista olandese metteva in evidenza le difficoltà e i controlli interposti dal Kuomintang quando voleva incontrarsi coi leader comunisti, che riuscì a riprendere solo clandestinamente.

Nel 1957 tornò in Cina, dove tenne varie lezioni “on the art of documentary making” (p. 73) e produsse nel 1958 Letters from China (o Before Spring).

Il lungometraggio forse più noto è Come Yukong spostò le montagne, prodotto assieme a Marceline Loridan. In un saggio contenuto nel volume, Li Zexiang cita, in positivo, una recensione occidentale, che appunto mette in rilievo quanto “this film uses every means of cinematic art to serve one purpose – to present Man prominently through his daily life, labour, study, meetings, rest and recreation, in order to reveal his thinking, feelings and human relations”; e dichirazioni di Ivens medesimo contro “slogans and distortion of reality” (p. 117).

Certo è che, al di là di paragoni con Antonioni, il quale del resto è stato rivalutato di recente in Cina, i film di Ivens restano impressi; e la simpatia umana che ne promana, assieme alla solidarietà paritetica per un paese in via di sviluppo, e all’immedesimazione con categorie sociali autoctone, è  lascito interculturale attuale.


[Roberto Bertoni]