11/03/16

Michelangelo Antonioni, CHUNG KUO CINA



[Chinese garden (Singapore 2015). Foto Rb]


Michelangelo Antonioni, Chung Kuo Cina, documentario RAI, 1972. Testo pubblicato, a cura di Lorenzo Cucu con la collaborazione di Andrea Barbato, Torino , Einaudi, 1974


Una prima constatazione è la coerenza estetica di Antonioni. Come nelle prime scene della Notte, la telecamera di Chung Kuo Cina si muove con lentezza inquadrando per tempi lunghi quanto cade dentro l’inquadratura mentre si ascoltano i rumori dell’esterno, nel caso della Cina il traffico allora ancora scarso, le voci fuori campo, i suoni di natura e urbani. I volti sono spesso in primo piano. La rappresentazione della Cina da parte di Antonioni ci sembra prima di tutto umana e universalistica.

Rivelatrice la prefazione dell’autore, che confessa di avere avuto un’idea un che fiabesca della Cina prima di andarci per girare il documentario e cambiare totalmente prospettiva, con un atto che egli stesso ritiene di “modestia” appresa dai cinesi (p. VIII), per rivolgersi invece alla realtà del “paesaggio umano” e dichiarando: “mi sembra positivo non aver voluto insistere nella ricerca di una Cina immaginata, di essermi affidato alla realtà visibile” (p. IX).

Antonioni manifesta inoltre la coscienza dei limiti della propria impresa artistica in Cina, rendendosi conto, a differenza di altri intellettuali che viaggiarono in Cina nello stesso periodo, che quanto ha compiuto è semplicemente una raffigurazione dei “cinesi che ho potuto riprendere in poche settimane di lavoro”. Correttamente, a nostro parere, ritiene che anche le scene “organizzate” imposte dalle autorità cinesi non sono una forzatura della realtà, ma fanno parte dell’“immagine che i cinesi vogliono dare di se stessi” (p. X).

Ne consegue un lavoro non arrogante, coscientemente parziale, né celebrativo, né denigratorio e per questo migliore dei reportage alteri e saccenti di altri.

Davvero impressionante, e senzaltro conseguenza di totale incomprensione del punto di vista del regista italiano, la stroncatura da parte dei dirigenti cinesi nel 1974, che oggi si legge online su Peking Review. O, come scrisse Umberto Eco allepoca, il problema era il differente approccio alle sovrastrutture simboliche da parte di di due culture diverse (citato da Eric Hayot in The Hypothetical Mandarin).

Diverso il giudizio cinese di oggi se un funzionario come Li Xiaodu nota in China Commentary:  
Today we can see traces of the director’s intentions in Antonioni’s China. However, we also recognise it is still a good documentary because it presents different aspects of the country, not only catching the enthusiasm of the revolution, but also quiet streets in Beijing, and quiet moments in people’s daily lives. It is not like Leni Riefenstahl’s Triumph of the Will and Olympia, which were made purely for propaganda purposes. But I still remember furious editorials in newspapers, criticizing Antonioni’s China because it intentionally uglified our great socialist homeland


[Roberto Bertoni]