22/02/07

George Orwell, BURMESE DAYS



[Postcolonial Interior in the Mekong Delta. Foto di Marzia Poerio]



BURMESE DAYS (1934, qui citato dall'edizione Penguin, Londra, 2001), è un resoconto della società delle false apparenze, del perbenismo e della corruzione, ambientato nella comunità di residenti inglesi nella postazione di Kyauktada, che ricorda da vicino l'esperienza vissuta da Orwell in Birmania, tanto che quando uscì il libro alcuni vi si riconobbero e l'autore cambiò i nomi dei personaggi e altri particolari.

Il corrotto U Po Kyin, allacciate relazioni con gli inglesi, da essi infine riceve onorificenze a spese dell'onesto medico indiano Veraswami (lui e non il medico viene eletto primo non occidentale nel club europeo, accusando con una calunnia l'altro di tramare contro gli inglesi, ma in realtà fomentando egli stesso una ribellione e poi assumendosi il merito di averla soppressa). Gli uomini d'affari sono immersi nella noia, nell'ipocrisia e nel pregiudizio razziale. Flory, il protagonista, mercante di legname, che non ha il coraggio di difendere fino in fondo Veraswami anche se parteggia per lui, si suicida per infelicità, solitudine, delusione amorosa: Elisabeth pare amarlo, ma ambiziosa sceglie un ufficiale, Verrall, al quale si concede e da cui viene abbandonata; dopo la morte di Flory, sposa la persona più influente della comunità, Macgregor, integrandosi perfettamente. Vincono i valori conservatori e triti.

Flory manifesta "bitter hatred of the atmosphere of imperialism in which he lived"; l'impero è definito "despotism with theft as its final object" (p. 68). Sui falsi ideali leggiamo:

"There is a prevalent idea that the men at the 'outposts of Empire' are at least able and hardworking. It is a delusion. [...] It is a stifling, stultifying world in which to live. It is a world in which every word and every thought is censored. [...] We sell our souls in public and buy them back in private, among our friends. [...] Your whole life is a life of lies" (p. 69).

Per altri versi l'esperienza di Flory (attraverso i cui occhi sono interpretati gli avvenimenti, anche se il romanzo è in terza persona e in varie occasioni è l'autore a sovrapporsi al protagonista) è quella di un fuoruscito dal proprio paese, alienato per questo: odio/amore per il paese ospite, immobilismo ("one should live with the stream of life, not against it", p. 70). Non ha appartenenza: "he had no tie with Europe now, except the tie of books. For he had realised that merely going back to England was no remedy for loneliness; he had grasped the special nature of the hell that is reserved for Anglo-Indians" (p. 72).

BURMESE DAYS è scritto con la linearità non semplicistica di Orwell. Le situazioni sono affilate dalla chiarezza del linguaggio. È un romanzo postcoloniale in anticipo sulla fine della dominazione straniera nel sud est asiatico.


[Roberto Bertoni]