23/01/17

Alberto Capitta, L’ULTIMA TRASFIGURAZIONE DI FERDINAND


Nuoro, Il Maestrale, 2016


L’ultima trasfigurazione di Ferdinand, di Alberto Capitta, racconta la nascita e lo sviluppo di una fortissima vocazione artistica. Il protagonista, Ferdinando Lieber, è un grande attore che ha scoperto il fascino dei mascheramenti sin da piccolissimo giocando con la cuginetta Margot, ma che durante l’infanzia ha anche sofferto molto perché il padre non capiva i suoi travestimenti, una volta con un manrovescio gli aveva fatto cadere il primo dentino da latte. Il bambino e la cugina fuggono da casa dietro un gruppo di attori seguendo il corso del fiume su un battello che li dovrebbe portare lontano dal villaggio olandese in cui sono nati, ma questa prima tappa si interrompe ben presto con un forzato ritorno indietro. La vita di Lieber non scorrerà mai libera come un fiume, ma sarà sempre controcorrente. Il romanzo si apre con l’arrivo di Ferdinand Lieber adulto in un’isola in cui passerà un lungo periodo di riposo: la primavera che colora quel luogo, la finestra sul mare che si apre sulla tempesta compongono l’incipit del romanzo e preparano quel periodo di isolamento esposto a tutti i possibili sviluppi e sconfinamenti.

Sin dal titolo della prima parte si apprende che Ferdinand ha ereditato il nome da un fratellino che ha vissuto solo un anno, da bambino ne ha letto il nome nel cimitero del villaggio natale dove, fissando la lapide di marmo, trascorre lunghe ore. L’infanzia è dunque segnata dalla presenza di un suo doppio con cui dialoga incessantemente di notte e che sparirà dopo le ennesime botte ricevute dal padre. Un giorno non trovandolo a casa la madre lo va a cercare nel cimitero dove lui si nasconde e un colpo di vento le incolla al volto un cumulo di foglie; lui si ricorderà all’improvviso di quel volto coperto di foglie mentre recita nel ruolo di Cassio e quella sarà la sua prima trasfigurazione.

Dall’infanzia e dalla fuga da casa ci spostiamo direttamente a Parigi dove il giovane Lieber comprende che, invece di far carriera come avvocato verso cui tutti sembrerebbero indirizzarlo, deve seguire la sua vocazione d’attore, l’ha tenuta a bada frequentando teatri vuoti prima dell’inizio della rappresentazione, spiando i camerini degli attori che gli appaiono come celle monacali. Un giorno finalmente compie una svolta decisiva, suona il campanello di un palazzo in degrado e va a cercare il maestro che dovrebbe spingerlo verso la sua vera vocazione in cui è celata la sua più profonda identità, il teatro. Per diventare se stesso e paradossalmente uscire da se stesso per interpretare l’altro, dovrà compiere una vera iniziazione nella casa del maestro, sopportarne il completo isolamento, l’inerzia e il lerciume abominevole. Dal fondo della sua degradazione e abiezione il maestro dovrebbe indicargli la strada della sua formazione.

Il romanzo è ambientato negli anni Trenta, ma la storia e il mondo esterno sono appena accennati, al centro è invece una trasformazione interiore che avviene all’interno di una casa in completo disfacimento che  sembra  avere qualcosa in comune con la casa di Grandi speranze di Dickens, in cui la tavola imbandita si decompone lentamente coperta da ragnatele.  Eppure quella casa appestata e afflosciata su se stessa ha da insegnargli tutto, soprattutto attraverso gli odori che emana:

“All’improvviso il salone emanò un potente tanfo di escrementi, come se la bolla fosse finalmente esplosa e tutti gli odori si fossero sprigionati, piscio, frutta, vino, minestra, sangue e incenso, unguenti e cavolfiore, tutti gli odori lì, tutti gli odori del mondo, ad avvolgerlo, a confonderlo, ecco, pensò, se aspettava un segno era arrivato, quello era l’odore del teatro e quella era la sua casa”.

Sembra essere questo il primo stadio del processo di individuazione narrato nel romanzo: dalla putrefazione può nascere nuova vita, il ciclo naturale della morte e della rinascita sembra avvenire dentro la casa dove Lieber entra in contatto con gli odori e i germi della vita. Il passo successivo è quello della stagnazione, in quelle stanze non accade proprio niente, il giovane non può fare nient’altro se non guardare, osservare, camminare in silenzio attraversandole tutte, sfiancato da un’attività che non porta a nulla, eppure allo sfinimento che lo prende alla fine di quella singolare inattività può seguire la strana sensazione che il soffitto si sia aperto e si possano vedere tutte le costellazioni. Il cielo stellato pare indicare una direzione come dalla notte dei tempi l’ha segnata ai navigatori per non perdersi in alto mare.

C’è quindi il confronto con la malattia: Ferdinand deve assistere il maestro che si è ammalato, decide perciò di trasferirsi nella sua casa per curarlo e per continuare a studiare. Durante una partita a scacchi con se stesso, in cui il gatto sordido che vive in quella casa sembra trasformarsi nel pupazzo del gatto Adalbert Baginski, cui  durante la fuga da casa sulla chiatta un ventriloquo aveva dato la parola, riprende quel confronto con se stesso cominciato nell’infanzia con il suo doppio sepolto nella tomba, e anche qui viene evocato un cadavere, un vecchio cadavere,  con cui è necessario misurarsi riconoscendo d’avere in sé una ferita che prude e che non si rimargina.

Quando finalmente il maestro guarisce, Ferdinand riprende a girare con lui nelle stanze, ma tutto sembra non avere un senso, finché un giorno, mentre volteggiano lentamente per ore nel salotto, sente che il viso gli si è bagnato di pianto senza sapere perché. Dal balcone da cui finalmente si affaccia vede una Parigi notturna che per la prima volta mostra le sue luci. Pur evocata dalle due vie in cui si trovano la sua stanza e la casa del maestro, la Rue de Pardonnet e la Rue de Chartres e dalle visite fugaci nello studio d’avvocato in cui lavora, solo ora la città fa la sua breve comparsa nel romanzo. La formazione teatrale avviene infatti tutta all’interno della casa in cui anche la luce esterna sembra bandita:

“Là dentro si rideva, si piangeva, si tramava, si gridava vendetta. Nonostante il rigore prodotto dai tendaggi, Ferdinand la vedeva illuminarsi, sembrava che il sole sorgesse dal pavimento, altre volte la vedeva perturbarsi, scossa dai temporali, accesa dai lampi. Non di rado veniva visitata dal gatto che nel bel mezzo di un dramma la attraversava da una parte all’altra trascinando il suo lercio sedere”.

L’ossessiva misurazione dello spazio col corpo, la continua ricerca della collocazione che esso ha in uno spazio limitato, si apre di colpo a dimensioni molto più vaste e a potenti visioni. Tutti quegli esercizi apparentemente inutili, quella ricerca che sembrava senza senso raggiungono finalmente il loro scopo, il talento dell’attore riesce a esprimersi sino in fondo e con risultati clamorosi. Tutti i teatri d’Europa applaudono il suo straordinario modo di calcare le scene e di calarsi nei più svariati personaggi:

“Cercava la perfezione Ferdinand. Sapeva, ogni volta che metteva piede su un palco, di giocarsi la vita. […] lui entrava in quel mondo di sogni in cui si muove la mente dell’attore. Un mondo di stelle e di minerali duri di cui sono fatti i re e gli assassini. Ferdinando vi scivolava dentro lentamente. Disseppelliva le carcasse dei personaggi morti e ridava loro vita.  Un esercizio che conosceva bene, aveva dimestichezza con le tombe; il suo nome era inciso su una lapide ancor prima che lui nascesse. Li disseppelliva, dunque, e fondeva la sua carne nelle ossa di quelli. E così, ricoperto di luce e di scaglie e posseduto dal principe o dal suicida, entrava in scena.”

Ora che è diventato un attore famosissimo, Ferdinand decide di ingaggiare un domestico come aiutante e segretario, ma il giovane Maurice riveste in realtà  di nuovo il ruolo di doppio; invece di scrivere sotto dettatura le lettere ai tanti ammiratori e ammiratrici dell’attore, le reinventa di sana pianta svelando un lato della personalità che Lieber nemmeno sospetta di avere,  dimostra infatti di avere una grande dimestichezza con le donne, una capacità di conquistarle. La scoperta dell’amore è un altro passo sulla via dell’individuazione di Ferdinand, innamorandosi per la prima volta l’attore svela una sua parentela con Cosimo di Rondò e con il suo stupore davanti alle nuove esperienze con Marcovaldo di Italo Calvino. Con grazia Alberto Capitta racconta come una nuova luce illumini tutta la vita quotidiana:

“Scopriva che le parole apparentemente tanto lontane dall’amore erano in realtà più eloquenti delle stesse parole d’amore. Lo scopriva nei discorsi di ogni giorno. Mi accompagni? Mi aiuti? Lo facciamo insieme? Erano queste. Quando lei gli chiedeva di aiutarla ad allacciarsi uno stivale o a ripiegare un lenzuolo lui sentiva che era quella la lingua dei sentimenti”.

Solo dopo questa scoperta il mondo esterno fa irruzione nel romanzo, anche se è appena accennata la presa del potere di Hitler. E all’improvviso il punto di vista di Lieber viene a essere capovolto, è lui l’attore famoso a diventare spettatore e ad assistere dalla finestra a una scena capitale, l’esecuzione di un giovane dissidente. Il gioco di luci e di odori che penetrano dalla finestra dopo aver assistito a quella scena sconvolge completamente la sua vita e segna un cambiamento profondo. Dopo questa svolta inaspettata e irreversibile, avviene il rapidissimo ma significativo incontro con il giovane Albert Camus:

“Un uomo, in fondo alla via, veniva avanti a capo chino, anche lui a passo lento. Ferdinando lo riconobbe, era il giovane Camus, un redattore del Paris Soir, anche lui solitario, anche lui con una stringa slacciata che sbatteva a ogni passo. Si sfiorarono senza salutarsi. Passarono vicine, le nubi dei loro pensieri per un attimo si fusero.”

È significativo che Capitta collochi il romanzo proprio nel periodo storico in cui in Europa si assiste alla nascita dei totalitarismi e che, facendo comparire la figura dello scrittore Camus, sottolinei quanto sia necessario per lo scrittore e l’artista riconoscere e capire quanto la storia sta mettendo in moto per potersi mettere in gioco. Questo incontro dà un senso nuovo al romanzo proiettandolo nel presente e mostrando come in momenti cruciali della storia compito dello scrittore è quello abbandonare la vecchia identità pur conquistata con tanti sforzi spogliandosi di se stesso e di sprofondare come tutti gli altri nell’incertezza e nel vuoto per cercare una nuova direzione. Le bellissime immagini create da Capitta, la continua ricerca di una lingua capace di toccare sentimenti sottili e di percepire con aumentata sensibilità il mondo intorno a noi, come avveniva nei romanzi precedenti, si carica di un bisogno nuovo. Ferdinand non può più stare alla finestra, ma deve camminare per le strade e raccogliere il dolore del mondo, inseguendo una verità che non può più trovare solo nel teatro o soltanto all’interno di se stesso.  Dolorosa, spiazzante e attualissima la consapevolezza di non avere una via da seguire ma di essere naufraghi in alto mare e la scelta per l’artista di non arrendersi, ma di dare vela alle proprie parole sapendo di trovarsi in mezzo a una tempesta.


[Rossana Dedola]