21/09/16

Travis Knight, KUBO AND THE TWO STRINGS



[From a Shop-Window in Osaka, Umeda Area, 2012. Foto Rb]
  
 
Travis Knight, Kubo and the Two Strings. USA 2016. Soggetto di Marc Haimes e Shannon Tindle. Sceneggiatura di Marc Haimes e Chris Butler


Per noi interessati allo scambio interculturale, questo film è un buon esempio, ambientato in Giappone, con fiabe e miti misti orientali e occidentali e scritto e animato da occidentali.

È un film accattivante per il design dei personaggi, soprattutto il protagonista Kubo, bambino che accudisce la madre in parte maga, che a sua volta lo accudisce nella seconda parte trasformandosi in scimmia. La madre è caduta dal cielo per un amore umano; dopo averle tolto il marito samurai, che si reincarna in parte in uno scarafaggio, in parte in un guerriero di carta, le sue sorelle e il padre li cercano per togliere gli occhi a Kubo, affinché smetta di vedere il mondo delle passioni terrene e assurga col nonno al cielo. Vince alla fine la mondanità del bambino, che invoca il cuore contro la freddezza dell’assenza di passioni equiparata a crudeltà. Si trasforma anzi in essere umano anche il Re del Cielo, il nonno.

Rispetto ai modelli orientali, è una storia fortemente trasgressiva. Se si pensa, per esempio, alla storia giapponese di Kaguya, animata nel 2013 per la regia di Isao Takahata, ovvero la principessa della Luna che si immedesima con la vita sulla Terra fino a quando la famiglia originaria, fattole indossare il mantello dell’oblio, la riconduce nel cielo e nella dimensione della serenità imperturbabile, in Kubo abbiamo una netta inversione, con la difesa tutta occidentale dei valori della passione e del coinvolgimento.

Altri elementi sono misti. La lotta col drago feroce è un’altra inversione occidentale delle caratteristiche benefiche del drago orientale. Il conflitto tra il bene e il male è universale e archetipico. L’ambientazione è decisamente giapponese. Eppure il design delle sorelle crudeli della madre di Kubo ricorda vagamente i cartoni pubblicitari di Armando Testa.

Oltre l’integrazione del mondo fantastico orientale e di quello occidentale, è notevole la riflessione sul concetto di “storia”: come le storie si creano dalla fantasia impersonata da origami animati, evocati magicamente dall’immaginazione; come coincidono col destino personale, come si compongono diproblematiche etiche e avventurose.

È un bel film.


[Roberto Bertoni]