19/03/15

Marina Pizzi, CANTICO DI STASI (2011-2014, strofe 46-50)


46.

dica di me l’orazione funebre
la squallida via della stazione in sé
dove s’incalza la darsena in rovina
e la sentinella del bacio non sa danzare
la rotta verso il secolo senile.
uncinata la pelle si dà al rantolo
al peso marmo della scalea in aiuto
tanto per non flettere la vita.
qui intorno al letto stiamo senza dare
la mano della tonica fortuna
né la dacia per tornare in corsa.
già qui si abbatte l’eremo del sale
la terra vuota senza emozioni
né vezzi per le rondini girandola.
in pace con l’acido del diavolo
velo nel docile sudario
il volto magro del tuo rigido dormire.
invece morta gronda la tua sfinge
figliolanza del gelo per rottamare
chi fosti stimolata dalla gioia.
muore marina la resina del fatuo
tuo addobbo di madre giovane
in fato con la gloria di non essere.


47.

vicolo guardingo e sottovoce
costato che piange le favole
ma lo stratega le riordina
per un residuo di gioia.
vive il santuario un giovinastro killer
una ringhiera mobile alla pioggia
nessuno è al sicuro sotto l’incubo
di perdere staffette anemiche
perseveranze di ieri volerti bene
quando ormai è ora di palude
e la genesi si fa ultima
marina di costato per il sale pessimo.
il genere di piangere è vetusto
tu sei stordito dalla ronda del dado
dalla faccenda di ascoltare gli angeli
mutanti soprattutto sotto il tempo.
gira la luna l’eredità del figlio
la pozza esatta che ti dà intruglio
e manuale da ascesi per combattere
le figliolanze caduche della fune
sotto la luna. l’età del buio figlioccia
questa rupe di blasfemia perenne.


48.

su per l’asilo in zaino e bandiera
nacque la faida delle rondini cocciute:
crolla nuvola d’ospizio!
laterizio d’ombra sembrare madre
per piangere di meno latitanza
per giungere ai cipressi gemellari.
ho messo il diario sulla fronte
per perdere l’amnesia del fiume lento
qualora persistesse la graticola del piangere
ad armi impari con il diavolo in saccoccia.


49.

In un asso ho creduto quando ero giovane
panchina verniciata di fresco
per accogliere gli incentivi delle vane
ancora vaghe grandiose nel suo flusso.
Dio di naufrago ho raccolto la salma
la malattia del cucciolo che non sapeva cantare
né eliminare le mosche che l’opprimevano
ecco l’invano escogitare avventure.
La giacchetta del milite sembrava ammalarlo
da sotto al bavero che non bastava al vento
né al ricorso di dire sono novello
per proiettare il fucile contro.
I libri in pila sopra il davanzale
lo aspettavano in zattera di fresco
ma la finestra si aprì e tutto cadde.


50.

offendere l’alba è la rinfusa del dolore
dolorarsi in sacchi di iuta
patemi di angeli offesi
da sotto l’alba che non aiuta luce
né la chimera di badarsi nati
sotto germogli che non si aprono
né incidono la terra con la gioia
di qualche petalo schiuso
per il luccichio della fiaba.
il prezzo del cipresso non scarseggia mai
anzi di avvita girandola di occaso
mare scalzo di nebbie cattive.
autunno di mormorio le foglie morte
dove si cresima il modo di morire
sisma il singulto un altro dovere
quale resina di addobbo per cipressi.
qualora affretti l’ilarità del vento
nulla sarà manciata di quest’enigma
malevolo al tatto e alla meraviglia.
ingludimi in te gioia di pantano
perché io possa studiare la meraviglia
di ergere un diario esplosivo
oltre la rondine priva di cimasa.
non patema di Augusto la ventilata soglia
anzi si oppone la terra allo stormire
di un arcobaleno di bonaccia senza la madre.
[Le strofe precedenti sono su numeri scorsi di “Carte allineate”]