13/02/15

Vittorio Sereni, VIAGGIO IN CINA



A cura di E. Sartorelli. Pistoia, Via del Vento, 2007


Utile la cura, da parte di Emanuela Sartorelli, di questo diario di viaggio, stilato da Sereni durante l’esperienza cinese, organizzata dal Sindacato Scrittori, assieme ad Arbasino, Bujatti, De Jaco, Luzi e Malerba. L’apparato di note chiarisce vari riferimenti storici e letterari, ma confronta al contempo le notazioni di Sereni, in precedenza non pubblicate, con quelle dei colleghi che scrissero sul viaggio in articoli e libri, dal che si ricavano impressioni divergenti sulla Cina, mentre altrove si confermano opinioni comuni sugli autori conosciuti e su luoghi visitati.

Se è pur vero che si ha in Sereni la “ricerca […] di qualche interiore consenso”, prevale senz’altro lo “spaesamento” (p. 29).

Chi qui scrive è sempre un po’ scosso, oltre che stupito, dal fatto che, nel confronto con l’Oriente, tanto spesso venga scelta la via dell’alienità, del “sono diversi da noi”, una caratteristica reale, certo, per vari versi, eppure non ci pare prevalente nel contatto tra la cultura europea e quella dell’Est, vuoi perché l’umano accomuna tutti, vuoi perché bisognerebbe in primo luogo tenersi stretti alla modestia dell’ignoranza linguistica, nonché, in maggiore o minore misura nei non sinologi in questo caso, e non orientalisti di professione in genere, che impedisce un confronto diretto, ostacolando così la comunicazione paritetica, per cui talora quanto appare differente sarebbe forse abbastanza simile a un’osservazione più ravvicinata, inoltre le coordinate orientali specifiche verrebbero in luce, come appunto nelle pagine di esperti del settore, con nitore e spessore culturale. Non che l’approccio d’altro ordine non sia piacevole e interessante, a testimonianza di un interesse che varia dalla curiosità all’apprendimento. Quanto non troviamo troppo utile, invece, è la delusione per ciò che si trova, dato che si troverebbe di più se si sapesse di più; e peggio ancora il “fare la lezione”, per esempio chiedere agli intellettuali cinesi che siano contro il loro regime e la loro patria, che tradiscano la cultura nazionale in funzione cosmopolita, e così via. Ad altra sede, in ogni caso, il discorso contrario, cioè l’atteggiamento orientale nei confronti dell’Occidente. Veniamo a Sereni, che con quanto sopra c’entra solo fino a un certo punto.

Come già notavamo per Moravia, in Sereni c’è una strana tendenza, anche nell’ammirazione, a restare in superficie parlando di spettacoli: così i burattini sono esoticamente “pregevoli” per “sfarzo di luci e di stoffe”; e ove al teatro degli adulti il testo è tradotto dall’interprete, manca un commento sui contenuti, che so? un confronto con simili storie della tradizione occidentale, per lo meno, quasi il testo fosse secondario, notando invece soltanto, in poche righe, che “si mescolano lirica, dialoghi e monologhi, canto, musica e acrobazia” (p. 14).

Sereni trova deludente, si direbbe, gli incontri con la maggior parte degli intellettuali, organizzati dal corrispettivo del Sindacato italiano, nella fattispecie l’Associazione Scrittori Cinesi. Sembrerebbe che gli interlocutori siano propensi più a sentirsi in linea con la politica ufficiale del PCC dopo la conclusione dei processi alla “Banda dei Quattro”, sebbene si rilevi a volte la loro “sincerità”. Di Pa Chin, Sereni nota l’avversità alla tecnica, perché, a parere dell’autore cinese, essa “si forma scrivendo, viene a mano a mano che si prende coscienza di sé nello scrivere”: Sereni  giudica questa affermazione “la cosa più interessante che gli sentiamo dire” (p. 15). La divergenza di gusti: l’autore cinese, non citato per nome, che “dice di non amare Dostoiewski perché angoscioso e angosciante” (p. 17). Da Mao Dun “non si cava molto più di quanto già non si sappia” (p. 10); e ci sarebbe da domandarsi perché, a un autore di questa levatura e importanza vengano semplicemente rivolte domande di prammatica, a sfondo politico, invece di indagare con commenti e richieste specifiche sulla sua opera creativa. Gli scrittori di Shanghai sono “gente che ama leggere, ma […] legge un po’ a caso”: il riferimento è alla lettura di Spartaco di Giovagnoli (p. 18); e in questo frangente, se i cinesi avessero domandato agli italiani che testi cinesi avessero letto, avrebbero ricevuto una risposta di quante letture documentate e sistematiche di opere asiatiche da parte dei visitatori italiani?


[Roberto Bertoni]