17/01/15

Lee Soojin, UNE LECTURE DU FILM D’IM KWON-TAEK LE CHANT DE LA FIDÈLE CHUNHYANG


Parigi, Budapest e Torino, L’Harmattan, 2005


Lee si serve di un apparato teorico prevalentemente semiotico/strutturalista, il che è più che legittimo, ma soggettivamente ci distanzia dalla sua analisi per gli aspetti più specificamente analitici; e ci pare un che datato a dire il vero il riferimento ancora nel ventunesimo secolo a Metz e altri, non ci sembra che queste teorie di un tempo apportino più di tanto all’analisi.

Detto questo, lo studio in questione ha invece notevoli meriti nel mettere in rilievo sia l’originalità che i riferimenti storico-culturali e la funzione sociale del film di Im Kwon Taek (recensito su Carte allineate in data 13-7-2014).

Ben articolata la discussione sull’articolazione narrativa della pellicola, parzialmente tramite la voce del cantore tradizionale di pansori ripreso a teatro, e parzialmente (Lee mette in rilievo la novità di questo meccanismo strutturale) per mezzo della visualizzazione scenica del film. Tale contrappunto di riferimento allo spettacolo teatrale e filmico distingue questa versione della Storia di Chunhyang dalle altre diciannove riduzioni cinematografiche che l’hanno preceduta.

Sul piano del significato sociale, il pansori tradizionale non è semplicemente una fiaba, ma  aveva un significato piuttosto eversivo, in quanto consentiva un matrimonio tra un esponente delle classi alte e una donna nata da un matrimonio misto tra una gisaeng e un nobile: ciò, espone Lee, indica una modalità di verosimiglianza, compensando al contempo la virtù coniugale come fattore di legittimazione del matrimonio stesso; dal che Lee trae la conseguenza che ciò che viene ivi rispecchiato è il fatto che “l’espérance du peuple se réalise de manière pacifique, sans violence, ni révolution” (p. 189), nondimeno si assiste a un risveglio della consapevolezza di classe dei ceti meno abbienti.

La pellicola di Im adatta con fedeltà gli aspetti storici, ma “n’a pas un rapport direct avec le spectateur de notre temps” (p. 192). Non rappresenta dunque “l’ésprit de revolte” (p. 197) del cinema storico sud-coreano degli anni Ottanta, allegorico della politica e società contemporanea, bensì, uscito nel 2000, anziché approfondire aspetti polemici di classe e di genere, semplicemente rivive nostalgicamente il passato. Tuttavia, c’è una tendenza innovativa, finanche di “révolte” nel suo “esthetisme, sa form d’adaptation, sa prise en compte de la saveur du pansori, son harmonie entre l’image et le son ainsi que la reconstitution de l’époque” (p. 198).

[Roberto Bertoni]