01/03/14

Marina Pizzi, SOQQUADRI DEL PANE VIETO (2010-11, strofe 97-100)

97.

le letargie del sale pianto
commettono zizzania nella gola
per singhiozzare sempre. brevità
maestra la poesia di secoli. se ne vanno
i mesi delle scorte quando la legna
sembra non finire mai e la bravura
è una castagna chiusa spaccata dal fuoco
che la uccide. veniva nei baci la cerimonia
andante la stretta di capire perché la fionda
faccia dispetto alla dama del sacro,
madre la cara concava sirena. così
non basta calunniare gli anni le croci
a vanvera che si spezzano alla grandine.


98.

in un giorno di qualunque sorpasso
ho tralasciato la questua della noia
per il restauro degli equorei sorrisi
dell’angelo palese. ma non è bastato
comporre indulgenze verso il cimitero
né verso l’occaso o l’aurora. è tutto
finito nel male di stato farina infetta
contro il pane. in un giardino di
elemosine gentilizie ho visto il padre
simulare amore. in un altare di silvane
eresie le belle coppie di animali
carezzevoli. ma non bastò la marina
il verbo buono per rinascite di nidi.
madonne allegoriche aprivano l’aria
al carnevale ma la risata era minima.
giocoforza commettere avarizie
quando il respiro è corto.
il sego dell’alba più sfacciata
rumina segni di goliardie volgari.
martiri del lusso le oche costrette
ad ingurgitare d’imbuto.


99.

quota del mio dolore madre andata
tagliata dalla nenia del pregare
apocalisse del pianto in piena pena.
ti ricordo con l’afa nella gola
con le morie dei cuccioli più sani
tu scarto della vita in presa d’astio.
madre marina insita bravura
quale un atavico giorno di vulgata
io crepata senza il tuo sguardo.
pace non avrà il mio ristagno
questa grandezza epica di piangere
la stanza dove eri grazia di visione.
indagine maligna stare a secco
senza le foglie da guardare morte
e le chele del granchio da rifuggire.
venuzza di cristallo lo sguardo al mondo
la miseria che ormai è castello dirotto
e la storia un enorme stallo.


100.

ci sarà il tatuaggio del sale
scalpore che intristisce
i mitici aromi delle erbe.
sul bagliore che prova a fare il faro
la gaiezza della luce sarà un falso
uno stratagemma di zonzo
un asilo di zavorra.
in mano alle rendite di cenere
sto a piangere le dita che non ho
per scommettere che la nuvola diradi
coma il forziere in gola.



[Fine. Le strofe precedenti sono sui numeri scorsi di “Carte allineate”]