29/03/14

Ermanno Rea, IL SORRISO DI DON GIOVANNI

Milano, Feltrinelli, 2014


Il romanzo segue, tramite la narrazione in prima persona, la vita di Adele, nata in provincia, concetto su cui spesso insiste, tra Salerno e Napoli, dall’infanzia all’età di 54 anni nel presente.

Sul piano dello sviluppo narrativo, corrispondente alla struttura autobiografica, più ancora forse al romanzo di formazione, la parte centrale è assunta dalla relazione amorosa tra la protagonista e Fausto. Scorrono le aspettative politiche degli anni Settanta, con riferimenti alla contestazione e al terrorismo e la scelta di Fausto di militare nel Partito Comunista.

Questo personaggio maschile, introverso sul piano psicologico, rappresenta un’ideologia di autodisciplina, utopia e dedizione altruistica. Adele è aperta al mondo e compensa il fidanzato con una personalità affabile ed estroversa. Congiunzione di opposti, junghianamente, eppure condivisione di progetti politici e sociali, com’era effettivamente in una certa sinistra di quegli anni.

La rottura con Fausto conduce a una separazione di strade personali: lui si sposa, lei sceglie di restare single. Si rincontrano anni dopo, è restata la solidarietà di un tempo, non la possibilità di riallacciare un rapporto.

Questa storia, che naturalmente coinvolge ritratti anche di altri personaggi, è quindi un riflesso del rapporto tra privato e pubblico nato negli anni Sessanta e modificatosi a partire dagli anni Ottanta.

Tuttavia, l’elemento tematico centrale non è questo, bensì una riflessione sulla lettura e sul rapporto che essa mantiene con la realtà. Adele riferisce da varie angolazioni su questa problematica. Ci sono circoli di lettura, il tentativo di costruire una libraria di quartiere, il camorrista che respinge i libri, lettori che trovano conferma nei romanzi del loro modo di essere, in particolare

Fausto è rappresentato come un’incarnazione di Myskin nell’Idiota di Dostoevskij: “quella forma superiore di intelligenza del mondo che è il totale disinteresse dell’io”.

Adele è riflessa in varie figure, ma ciò che trova nei libri è più di tutto la realtà, in ciò differenziandosi da uno dei modelli evidenti della riflessione di Rea, ovvero Se una notte d’inverno un viaggiatore di Italo Calvino. Nel Sorriso di Don Giovanni Adele scrive una lunga lettera a Calvino proprio su questo romanzo: in parte di ammirazione, in parte di contestazione proprio sulla base dell’influsso diretto che sente la lettura abbia sulle scelte di vita, al punto di ritenersi financo “traviata dai libri, vittima delle loro menzogne, dei loro messaggi edulcorati, oppure consolatori”.

L’idea di Adele è che “sarebbero stati i romanzi a salvare il mondo dalla dissoluzione”; i romanzieri perché “sussurrano invece di parlare?”. A ciò si accompagna, nell’era attuale, quello che Rea in un’intervista definisce così:

“[…] lo sconcerto all’eventualità che il libro come oggetto sia al termine di una storia iniziata nel Cinquecento. Vivo questa possibilità, dall'alto dei miei ottantasette anni, con un senso di perdita. L’e-book non ha peso, profumo, bordi da annotare, va e viene senza occupare spazio nella mia casa, senza potermi redarguire con la sua sola presenza accanto a me” [1].

La parte conclusiva si svolge nella biblioteca di Adele, contenente “quindicimila trecentoquindici volumi contati uno per uno” e organizzata da una bibliotecaria assunta all’uopo e il cui rapporto con Adele ricorda, espandendolo, quello del narratore in prima persona in L’occhio del Vesuvio (le avventure di un povero polacco di talento) [2].

Nella Nota dell’autore, posposta al testo, Rea scrive: “Questo romanzo, di pura invenzione, non adombra situazioni o personaggi reali, In esso tutto è sogno”. La prima opera di totale invenzione, cioè non basata su persone effettivamente vissute, che ha scritto Rea.


[Roberto Bertoni]





[1] Ermanno Rea: ‘Ho davvero paura che il mondo smetta dileggere’” (Intervista a cura di F. Erbani), La Repubblica, 30-1-2014.
[2] In E. Rea, La comunista, Firenze, Giunti, 2012, pp. 69-139.