05/12/13

Guy Delisle, PYONGYANG

Sottotitolo: A Journey in North Korea. Londra, Jonathan Cape, 2003, 2005.


È un che sconfortante notare quanti resoconti di viaggio occidentali nella Corea del Nord si somiglino gli uni con gli altri, non perché le cose che pare gli autori abbiano da dire sono le stesse, ma soprattutto perché non portano contributi nuovi alla conoscenza del Paese.

Talora, come abbiamo avuto occasione di costatare in precedenza, si tratta di pura e semplice propaganda, che insiste sullo stato dittatoriale, una realtà che conosciamo prima ancora di aprire certi libri sulla Corea del Nord che non rivelano altro che questo, oppure non elaborano il tema con argomentazioni approfondite e soprattutto con documentazione verificabile scientificamente.

Ci si domanda come mai i viaggiatori, specie se animati da sentimenti anticomunisti, non notino per esempio nel sorriso e nelle negatività i volti delle persone, o come mai si stupiscano (lo abbiamo letto in alcune occasioni) che a Pyongyang le famiglie escano insieme di domenica, o che la gente manifesti sentimenti positivi genuini per il regime.

Non stiamo cercando di fare del giustificazionismo dell’assenza di democrazia e del controllo sulla popolazione, ma c’è di più dell’osservazione superficiale di chi soggiorna in Corea del Nord per pochi giorni, tra l’altro senza sapere una parola di coreano, quindi senza avere accesso per lo meno ai murali, ai quotidiani, all’ascolto o alla visualizzazione in TV delle notizie, da cui già si potrebbe estrarre informazione.

Non fa eccezione questo fumetto di Delisle, che evidenzia la censura sull’uso della fotografia, la presenza costante delle guide messe a disposizione obbligatoria dal governo col compito di mostrare solo certi aspetti del Paese.

C’è inoltre una certa sordità anche agli aspetti meno irreggimentati, come la visita a una scuola in cui le allieve suonano la fisarmonica, attività comune nella Corea del Nord, ma presentata semplicemente da Delisle come risultato di una disciplina micidiale. La musica proposta dalla segretaria del protagonista europeo del fumetto viene respinta mentre capiamo dal contesto trattarsi più di musica folclorica che di propaganda politica.

Non certo che sia facile rapportarsi a un paese chiuso ermeticamente in se stesso e aperto agli stranieri solo a condizioni limitate e restrittive.

Peccato anche perché i disegni sono ben eseguiti e non manca una qualche malinconica ironia.


[Roberto Bertoni]