17/07/13

Park Chan Hong, SHARK (상어)



[Life flies away so quickly (Seoul 2013. Foto Rb)]


Park Chan Hong, Shark (상어). Serie televisiva sudcoreana in 18 episodi, 2013. Testo di Kim Ji Woo. Con Kim Nam Gil e Son Ye Jin


Shark è la storia di una vendetta da parte di Yi Soo, un giovane cui è stato ucciso il padre e che è stato sottoposto a un tentativo di omicidio cui è sfuggito miracolosamente. Adottato e curato in Giappone da un nemico del suo nemico, cambiati con plastiche i connotati, torna in Corea dodici anni dopo per colpire chi l’ha colpito.

Anche in Shark come in molte fiction coreane, il problema dell’identità emerge con spicco.

Il mutamento di identità che incontriamo per primo in questa narrazione densa di simmetrie, come spesso nelle serie sud coreane, è quello di Yi Soo in Kim Jun. La metamorfosi avviene a seguito di un incidente, che a un certo livello è una derivazione di una società in cui la chirurgia estetica è piuttosto comune oltre che avanzata, mentre su altri piani riveste la funzione narrativa di garantire l’incognito a chi perpetra vendetta o deve sfuggire a persecutori o alla giustizia. Il travestimento dell’identità mutata consente inoltre la trafila dell’anagnorisis. Ci sono segni impercettibili che chi è perspicace o emotivamente vicino al mutante saprà percepire. In una comparazione con l’Odissea, la vecchia nutrice, in Shark, è una non anziana segreta innamorata del padre deceduto dell’eroe redivivo. E naturalmente lo riconosce la ex fidanzata, che proprio per il destino tragico di Yi Soo è ora una magistrata, che ha dedicato i suoi maggiori sforzi a scoprire la verità sul passato: lo riconosce intuitivamente dapprima, poi per prove che non è possibile rendere pubbliche, ma inequivocabili per chi sa (è presente in luoghi in cui andava il sosia; Yi Soo porta un piccolo pescecane d’argento al polso, diverso dai pescicani normali ma uguale alla statuina di legno che gli aveva appositamente fabbricato da ragazzina la magistrata).

Abbiamo detto che il protagonista torna in Corea per vendicarsi. Ha cancellato la memoria di tutto per dedicarsi alla missione di punire gli assassini del padre, cercando di annichilire anche il ricordo della donna che ama e spingendosi fino a premeditare omicidi che lo disumanizzano (ma che non perpetrerà nella realtà dei fatti). Il compito dell’ex fidanzata è appunto salvarlo dalla crudeltà e dalla disumanizzazione: “Tu non devi essere come loro, rinuncia alla vendetta, torna in te”, gli dice alla fine dell’episodio 11 per salvarlo e spingerlo a ricorrere alla giustizia ufficiale in cui lui non crerde più.

In realtà, il cambiamento di identità fondamentale, motore dell’azione drammatica dell’intera fiction, ma rivelato per gradi (è solo verso l’episodio 12 che cominciamo a capire che una foto di tanti anni prima rivela una sostituzione di persona), è quello dell’anziano (e, a complicare i risvolti affettivi, nonno della magistrata), che si presuppone combattente per l’indipendenza, poi rispettato filantropo, proprietario di un grande albergo e intellettuale senza macchia, le cui virtù confuciane risplendono in pubblico. Ma è tutto falso: si tratta di una maschera che quest’uomo ha indossato per occultare il fatto di essersi scambiato con Cheon Yeong Bo, il vero possessore dell’identità che da anni proclama e in nome della quale non ha esitato a pagare un emissario per uccidere chi stava per arrivare fino al suo vero io. Era un camaleonte opportunista: prima spia dei nordcoreani, uccise non solo possidenti anticomunisti ma anche gente comune; poi divenne spia dell’esercito USA e si macchiò ivi pure di delitti; come rivela, non prima all’episodio 14, un docente di storia che compie ricerche su di lui, Cheon Yeong Bo è in definitiva privo di ideologie e si occupa solo del suo rendiconto, l’opposto completo della figura pubblica che impersona.

La simmetria consiste nel fatto che, per smascherarlo, Yi Soo si dà, come si è detto, un’identità diversa. Cioè abbiamo due che si combattono come in uno specchio: una persona sfalsata e un’ombra, per dirla con Jung.

Cheon Yeong Bo si irretisce nel labirinto della menzogna. Quando la nipote arriva a sapere qualcosa di più e lo interroga sul passato, le spiega, mentendo, di avere ucciso Cheon Yeong Bo, cioè se stesso. Sul piano psicoanalitico il gioco si fa rischioso, le identità si moltiplicano; frattanto sul piano della logica narrativa i personaggi in cerca di autore aumentano, suscitando nello spettatore indignazione per le malefatte e curiosità per i risvolti numerosi dell’intreccio.

I meandri si ispessiscono in questo gioco rischioso che ha come corrispettivo allegorico, ricorrente spesso nel corso della narrazione, una scacchiera su cui vediamo Cheon Yeong Bo studiare e giocare varie mosse: mentre muove i pezzi e s’informa sui trattati di scacchi coreani, manipola in realtà i destini dei suoi avversari.

In queste mosse, che su un altro livello allegorico rappresentano la strategia narrativa di questa storia, l’emissario di Cheon Yeong Bo scopre il gioco, alla terzultima puntata, facendo sapere al figlio di una vittima che il torturatore che lo uccise era un suo complice, ovvero il padre di Yi Soo. (Noi spettatori già sappiamo dalla prima puntata che era stato fatto uccidere da Cheon Yeong Bo perché voleva costituirsi per i reati commessi). Altri spostamenti dell’identità, dunque: e chi era apparentemente irreprensibile diventa colpevole, scatenando il caos nel campo dei difensori dei valori positivi.

Logicamente, il tema dell’identità mutata ha interesse in parte perché è un archetipo, ha un’universalità riconoscibile da ogni spettatore di qualsiasi ordine e tipo. Ci sarà però di più se quest’archetipo ricorre con tale frequenza nella fiction sudcoreana. A volte di tratta di cambiamento di sesso (di solito una donna che finge di essere un uomo); ciò ha radici nella narrativa antica orientale (e no); e il mutamento è concepibile in termini sociali come unica possibilità per una donna di svolgere attività maschili, così una volta: oggi il motivo viene aggiornato a vari elementi di transgenderismo, seguendo argomenti di moda.

Nello specifico dell’anziano di Shark, a essere colpiti sono l’ipocrisia alto-borghese che nasconde crimini e financo l’omicidio; ma al contempo viene riabilitata la rettitudine dei fondamenti della compagine nazionale, dato che la sostituzione di identità è avvenuta a spese di un immacolato eroe nazionalista. Al contempo, cioè, si colpisce la divisione di classe e si riconferma la narrativa di rettitudine della compagine antimperialista di un tempo.

Frattanto non possiamo dimenticare gli altri fili dell’intreccio. Nella serie coreana non può mancare la trama sentimentale, qui espressa attraverso tre topoi classici di questo genere televisivo: l’amore ostacolato, l’amore eterno collegato al destino, la contesa tra due uomini per una donna. L’amore ostacolato si esprime attraverso l’interesse del complice per la sorella di Yi Soo (dato che è tragicamente, come si è detto sopra, e per scoperta tardiva, proprio il padre della ragazzina ad avere torturato a morte il padre del complice). L’amore eterno è quello tra Yi Soo e Hae Woo: nella serie coreana, se due si innamorano ai tempi del liceo, non importa ciò che accadrà in seguito nella vita, resterà sempre un fuoco sotto la cenere, in questo caso lei si è sposata col migliore amico di Yi Soo, credendo che l’antico innamorato fosse morto; e non tradisce il marito, anche se non mancano umanamente i momenti di debolezza, qualche bacio, degli abbracci, una preoccupazione per l’ex innamorato che il marito fraintende e abbiamo così brevemente esposto anche il topos della ragazza contesa.

Tuttavia questa fiction è più di una storia di corruzione e vendetta e amore conteso. Si tratta di una rivisitazione dei risvolti crudeli della tortura durante la fase delle dittature durata trent’anni; di una valutazione fino a che punto è possibile dimenticare, fino a che punto è possibile perdonare. Non c’è niente di banale in questo aspetto. Anzi, si ha l’impressione che, se da un lato la densità dell’intreccio e certi elementi della faida e del sentimentalismo rientrino negli stilemi della serie coreana e nei meccanismi intesi a vendere il prodotto, dall’altra, per la parte storico-politica, ci si serva invece della cornice melodrammatica e commerciale per puntare su qualcosa di serio e di impegnato. A doppio taglio, insomma. 

Si tratta ad ogni buon conto di un lavoro intelligente e ben interpretato. Tra l’altro, per una volta, ha una conclusione tragica anziché lieta: Yi Soo riesce a far finire in carcere il suo nemico trovando le prove delle sue malefatte, ma questi lo fa uccidere da un sicario.