07/07/13

Theodor W. Adorno, THE CULTURE INDUSTRY



Adorno e Horkheimer, in Dialettica dell’illuminismo (1944), dichiaravano il concetto di “industria culturale” preferibile a quello di “cultura di massa” per evitare equivoci con l’idea di letteratura per le masse in un campo in cui radicalmente, secondo il pensatore della Scuola di Francoforte, le masse sono l’elemento strumentale e non i protagonisti di una cultura popolare nata nella società industriale. Tale cultura popolare si direbbe solo presunta a loro parere.

L’industria culturale fabbrica e vende prodotti, secondo Adorno, non opere artistiche: esse non possono far parte della sfera estetica sia per la riproducibilità commercializzata che le caratterizza, sia per, da un successivo articolo, intitolato appunto L’industria culturale, pubblicato nel 1975 postumo, perché insistono su una coincidenza dei messaggi che comunicano (pubblicità, film, romanzi, fumetti, eccetera) con la realtà, mentre l’arte, secondo l’interpretazione di Adorno, è sempre consapevole della distanza tra le due sfere del linguaggio e dei referenti nel mondo dell’esperienza.

Quindi in queste posizione troviamo prefigurazione, o meglio interpretazioni tempestive, della società dei consumi per come, dall’osservatorio sociale allora avanzato degli U.S.A. si sono poi diramate in altre società occidentali.

La standardizzazione dei prodotti culturali, la falsa utopia dei lieti fine, gli ideali di quietismo vengono riscontrati in tali prodotti da Adorno e li ritroviamo tuttora.

Nondimeno, ci pare, quello che Adorno non aveva anticipato accuratamente, ponendosi retrospettivamente con questo, per dirla alla Eco, tutto dalla parte degli “apocalittici”, era l’evoluzione dei media sulla percezione del pubblico e sulle abitudini di composizione degli autori, per cui oggi, ci pare di poter dire con serenità, il pubblico è consapevole della distanza tra realtà e immaginazione, salvo poi decidere di cedere alle lusinghe dell’intrattenimento in ogni caso; e gli autori non possono far finta di ignorare il modo mutato di porsi in lettura e di costruire narrative tenendo conto della rete, della televisione e così di seguito, persino della telefonia portatile (dove abbiamo letto, forse in Giappone? In Corea? che una storia prodotta sotto forma di sms è di ventata un successo di massa). Del fumetto, che ha oggi una sua storia anche di prestigio. Pena il totale solipismo nonché pieno snobbismo culturale: legittimo, certo, ma che isola l’arte contemporanea e la letteratura, venendo così meno ai suoi scopi educativo e terapeutico, oltre che in definitiva, di impegno.


[Roberto Bertoni]