05/04/13

Marina Pizzi, SOQQUADRI DEL PANE VIETO (2010-11, strofe 57-61)


["When stone is marvel" (Paris, 2012). Foto Rb]




57.

in un mare di vocabolo l’addio
ripiega le nuvole come lenzuoli
il cielo zoppo terso vanitoso
diverbio d’aquile al silenzio.
tu domani tornerai letizia
di una biologia di corsa
verso la sosta della nuca finalmente
dove nessuno si faccia previsto.
in pace sulla rendita del tuono
rimane il passero che digiuna neve
la giunta comunale delle rotte
strabiche. invano si arresterà
la fuga delle cantiche verso il poema
dotto, qui nulla è fatto ad immagine
e somiglianza di dio paterno. la forca
ad inguine di destino sistema il vero.
in pace nessuna stima di pace
dacché la cenere bivacca a mo’ di dimora
e la mossa del soqquadro è solo uno
storto particolare.


58.

le farfalle sono lutti appena munti
alla bellezza del sinodo del vento
dove nessuno si cimenta più
nell’onda di pensare le fanfare
fraterne del paese. sotto comignoli invernali
sta la rondine indisposta. lo strapazzo del vento
non ricuce spore. dove sei tu amica
elementare sotto le trombe della patria?
quale autunno imbellettò il tuo sguardo
spaurito fato screditante smog?
fondo il silenzio che elettrizza gli alberi
mormoro mia madre che fu botanica
regina d’intrico le radici.


59.

oso incappucciare il tempo
per fingermi morta. sfinimento, cialda
amara fissato emulo che sono sotto
fanghiglia d’asma. intorno a me si sparse
la vittoria del gerundio infelice. oggi aumenta
questa cicala ladroncella calca. melissa della gioia
perdere la vita meravigliata stasi
al pascolo per sempre pur meno senza atomo.
cruda armonia la madre analfabeta
beata dentro l’enfasi del ghetto.
sono morta da presto sotto l’inguine
della femmina bislacca l’io campione.
Marinella fui al desco di mio padre
poi giocatore di scacchi i salti dentro
sacchi già otturati. non bastò
una rondine a ristorarmi il viso
dato il dispaccio della ciocca bianca
ora avvalori l’agonia mia.
la coltre marmorea del mio scarto
uccise giovinezza con i piedi nudi.


60.

erosioni del fato avverso
quando da record la ruota
sconquassa lirici i sì più belli
nel pianto della cintola lo sfarzo.
mansione della ciotola morire
con la stazione nel grembo il nome dato.
l’unità del sale sfavilla al sole
beffa e gerundio di un dio villano
nomignolo di sé senza cattura.
si mina il conto delle rondini
innocenti, qui affonda il baratro
del cielo. in tempi d’acqua stagna
la visione del pio ascendere
al pizzo del cipresso dove si avvera
presa possesso l’inno del silenzio.
sotto casa il sasso che ti somiglia
fa acquisti a sé per smaliziare il sogno
che appena ieri conquistò le scene.
finisce il mare sotto sabbie anguste
con lo sterminio in auge di gelo
di petrolio l’indice sabbioso.
invano negli albori delle sfingi
si crede in dio abaco regalo.


61.

avevo un calice con un abbandono dentro
tutto il giorno dormivo sul banco
per scaturigine niente. un gatto randagio
leccava la mia zattera tanto per consuetudine
raminga. la giornata trafittura d’ansia
materia grigia per la foce
dove s’indirizza un vento blasfemo
assassino di nidi. in particolare un’afasia
bambina umettava nei polsi la bontà.
ora un avvento in tralice mi fa piangere
sempre. il cimitero dietro l’angolo
mi perdona le donazioni di niente
quando un sasso è la meraviglia
d’eterna vigilia la scuola di schiaffi.



 
Le strofe precedenti di Soqquadri del pane vieto sono uscite nei mesi scorsi su "Carte allineate".