01/02/13

Gianluigi Simonetti, NOSTALGIA DELL’AZIONE. LA FORTUNA DELLA LOTTA ARMATA DELLA NARRATIVA DEGLI ANNI ZERO


“Allegoria”, XXIII.64, 2011, pp. 97-124


Simonetti prende in esame, dapprima, voci isolate di chi, al di là delle testimonianze dei rappresentanti del partito armato (in primis Curcio e Moretti), ha posto il terrorismo in ambito narrativo in luce (brani di Tabucchi e Sciascia, per esempio) o in primo piano (Balestrini) negli anni Ottanta e Novanta, per poi analizzare una maggior prominenza di questo tema nella narrativa del secolo attuale.

Riguardo le testimonianze, il punto di vista di Simonetta è che esse siano state in larga misura funzionali al sistema di potere che sembrerebbe emarginarle:

“In molti, nella società civile, hanno protestato per lo spazio che l’editoria ha concesso e concede alle voci degli ex terroristi; in pochi si sono resi conto che quelle voci erano funzionali a una gigantesca integrazione. Per quanto a volte sgradevoli, per quanto più o meno interessanti, queste testimonianze finiscono quasi tutte per avere un valore rassicurante: per chi le pronuncia e per chi le ascolta” (p. 102).

Nell’indagine condotta da Simonetti su vari testi autobiografici o pseudobiografici scritti tra anni Novante e primi anni Duemila, parrebbero esserci una relativa estirpazione del delitto e un percorso di conversione da terrorismo a non terrorismo: “la rimozione della violenza agita in prima persona, le ellissi, gli eufemismi, […] assenza di realismo, funzionale all’autogiustificazione” (p. 105).

La “transizione a una fase ulteriore” è riposta in altri testi dello stesso periodo e successivi, tra cui quelli di Cesare Battisti, in cui “la fortuna della testimonianza sugli anni di piombo, pilotata o no, cede progressivamente spazio al noir e a esperimenti contigui, dove il confine tra fiction e non fiction è volutamente eroso, e le trame tendono  ad essere ambientate nel presente piuttosto che nel passato”, col che il terrorismo diventa un “tema narrativo di successo” (p. 107). SI e verificato che vari fenomeni di riflusso e modificazione degli atteggiamenti verso la politica abbiano “da un lato svuotato ed estetizzato la violenza, dall’altro reso l’azione estrema un ingrediente appetitoso per ogni impresa narrativa: non serve più la presenza di un’aura, è sufficiente la miscela di violenza e di mistero” (p. 110).

La diagnosi è anche quella si una passività di certa narrativa nei confronti degli schemi mediatici:

“Resta difficile sottrarsi all’impressione che, almeno presso gli autori più giovani, la rilettura degli anni Settanta si presti a raccontare non tanto dei fatti, quanto delle narrazioni precedenti (non solo letterarie); a riprodurre, magari patinandole, immagini famose; a girare intorno a interpretazioni e a oggetti immobili, piuttosto che ad elaborarne di nuovi. Mentre sembra parlare di uno scottante passato, molta narrativa contemporanea parla forse del modo in cui i mass media agiscono nel presente; del modo in cui lo assorbono nella dimensione estetica per ottenerne suggestioni, emblemi e miti” (p. 117).

In breve anche il romanzo su un problema di responsabilità civile e politica come quello del terrorismo e della sua critica viene riassorbito all’interno del sistema dei consumi come prodotto di intrattenimento.


[Roberto Bertoni]