03/01/13

Marina Pizzi, SOQQUADRI DEL PANE VIETO (2010-11, strofe 42-46)



42.

l’istinto della forca è tra le dita
forsennato anemone albino
senza pietà snatura di cometa.
qui si gioca ad elemosine tardive
quando la madre è morta da caligine
e la civetta giura sopra il ramo
di difendere pargole le rondini.
era amuleto credere le gole
contro l’urlo della morte.
ora invece le gerarchie del fato
ridacchiano le onde che permettono
materne le darsene con le senili ronde.
donne d’epitaffio le madri indimenticabili
più che perenni. la mia fu un furetto fiorentino
imbastito con la lingua di Dante da piccolo.
di lei porterò l’acume e il brodo
insieme alle rendite dei fiori.


43.

finisce il giorno in un’opera d’inutile
disfatta unta da bacche cadute a terra
amorosa parvenza di chissà quale
elemento in taglio di regale
fandonia ben comunque.
cipresso di malavita stagno d’occaso
questo censire la stretta per la gola
dove s’incute un eremo di pianto.
appello in controluce starti a guardare
in tanta malavoglia di resistere
un guaio la lanterna del volere.
risorsa di compagine la bestemmia
mimata almeno da un urlo muto.


44.

quale sarà la purezza dell’abaco
quando non si scappa la trappola
ti coma ebete del sale. in realtà
la finestra spalancata non dà
vita né oasi di vacanza la ribalta
del sole. qui si muore in ogni
stanza e la gioconda beltà di stare
bene non assiste né elabora baci.
è tutto stramorto polvere invasiva
sopra la cenere. invano il sudario
trattiene il corpo che asse si smonta
tramontana di rantolo. era mia madre
bellezza logica senza gingilli né giri
regali verso la gara di splendere di più.
invano purezza di sommo dispiacere
dover la morte teca di bestemmia.
spettacolo di acredine morire
sotto il sipario delle vene storte
dove s’ingiunge la viltà dell’aria.
gerundio micidiale starti a guardare
quando ti doni al fato d’eremita.


45.

è la pagina sciatta che si dimena
dentro il carcere del vile bastonante intonaco.
mi coagula l’ansia del ciarpame del dì
questo calendario miserrimo intriso di lente
senza poter guardare né dare alla paglia
per un falò finalmente. è qui che scavo
l’embolia di piangere la cura stretta
che non mi dà riposo né sogno d’emigrare.
in un barlume di fessura voglio l’abaco
infantile, il tiro a segno di spegnere
il diavolo.


46.

madre di tregua
officia per me la rivoluzione tenera
contro il dileggio che mi strappa
bonomie dal leggio che mi fa leggere
miraggio la ragione che dissimula
gerundio senza fossa il mio pendolo.
invece nei gendarmi senza dio
la celia degli angeli è impotente
senza festaiola la gioia della rondine.
la guerra consacra le matrigne
queste risate che mentono le risa
bandiere che bruciano sotto terra.
le coralità del sale non ammettono
zuccherine rarità le frasi del fraterno
orgoglio di avere una cresima nel sisma
nonostante. qui mi crepa la voce per
la lite che non dovrebbe tessere nessuna
contro dismisura né polvere contraria.
madre di tregua
rendi ingenua la mia strada
senza pretese le nuche
le rime delle foglie che silenziose spiccano
cadaveri con le vene colorate arcobaleno.



[Le strofe di Soqquadri del pane vieto vengono pubblicate a gruppi di cinque ogni mese su "Carte allineate"]