05/09/12

Émile Durkheim, LES FORMES ÉLÉMENTAIRES DE LA VIE RELIGIEUSE




[Totems at Gyeongbokgung (Seoul 2010). Foto Rb]


Émile Durkheim, LES FORMES ÉLÉMENTAIRES DE LA VIE RELIGIEUSE (1912). Parigi, CNRS, 2007


Durkheim studia il fenomeno religioso nelle forme che per la sua generazione sociologica erano le più primordiali, mentre refuta la semplificazione di queste manifestazioni religiose e vede anzi in esse, innovando rispetto a Frazer, la base della religiosità umana, la cui funzione è quella di rispondere, in ogni religione in modi diversi, “à des conditions données de l’existence humaine” (p. 39) e di rispondere filosoficamente, tanto nel totemismo come nelle posteriori religioni politeistiche e monoteistiche, alle domande che stanno alla radice “de nos jugements, un certain nombre de notions essentielles qui dominent toute notre vie intellectuelle: [...] notions de temps, d’espace, de genre, de nombre, de cause, de substance, de personnalité, etc.” (p. 47).

Nella rivendicazione dell’identità religiosa del totemismo, Durkheim si fonda non tanto sul soprannaturale e sul divino, quanto su ciò che tutte la religioni hanno a suo avviso in comune: credenze e riti, nonché la nozione del sacro in opposizione al profano; e su un elemento centrale, che è la rivendicazione dell’aspetto sociale: “la religion est une chose éminemment sociale. Les représentations religieuses sont des représentations collectives qui expriment des idées collectives” (p. 49). La definizione è dunque la seguente: “Une religion est un système  solidaire de croyances et de pratiques relatives à des choses sacrées, c’est-a-dire séparées, interdites, croyances et pratiques qui unissent en une même communauté morale, appellée Église, tous ceux qui adhèrent” (p. 96).

L’argomentazione si dipana in un esame analitico del totemismo australiano e indoamericano e dell’animismo, riscattati ad essere espressioni filosofiche e cosmologiche, interpretazioni dell’universo e a manifestazioni di un’organizzazione collettiva, basata spesso sul rapporto tra individuo, clan e comunità allargata.

In particolare, in queste modalità religiose, “l’âme individuelle n’est [...] qu’une portion de l’âme collective de groupe; c’est la force collective qui est à la base du culte, mais incarnée dans un individu dont elle épouse la personnalité; c’est du mana individualisé” (p. 389). Per questo si determina l’idea di sopravvivenza dell’anima; non, come in interpretazioni precedenti, per coincidenza coi meccanismi del sogno o per motivaioni individuali, bensì per ragioni legate alla collettività: “il [...] semble qu’on ne peut pas faire des âmes qu’avec des âmes. Celles qui naissent ne peuvent donc être que des formes nouvelles de celles qui ont été [...]; c’est la perpétuité de la vie du groupe. Les individus meurent, mais le clan survit” (p. 395).

Tra le altre, molte notazioni, si ricorda anche l’idea di ambivalenza del “fasto” e del “nefasto”, due aspetti del sacro, secondo Durkheim, che, come il bene e il male, travasano l’uno nell’altro: “c’est dans la possibilité de ces transmutations que consiste l’ambiguïté du sacré” (p. 580).

[Roberto Bertoni]